Diventerai femminista quando lo prenderai in culo senza volerlo
È necessario eliminare i connotati patriarcali al sesso anale eterosessuale. È necessario eliminare i significati di potere e dominazione al sesso eterosessuale. È necessario costruire una narrazione collettiva in cui le relazioni sessuali siano uno scambio di piacere, di comunicazione e di attenzioni tra pari.
Traducción: Eleonora Tonelli
Lee el artículo de Irantzu Varela en castellano.
Alcune di noi hanno ingoiato la “pillola azzurra”. Quando l’effetto sarà passato, sicuramente impazziranno.
Da affinato sistema di dominazione qual è, il capitalismo si nutre di persone che non riconoscono la terribile verità che si nasconde dietro a Matrix: che viviamo diverse forme di schiavitù.
Da affinato sistema di dominazione qual è, complementare al capitalismo, il patriarcato si nutre di donne che non riconoscono la terribile verità di essere schiave in molteplici modi. Che non riconoscono che la femminilità è una forma di schiavitù e che il suo principale potere è non sembrarlo. O non volerlo credere.
Essere una donna consiste in costruirsi attorno alla soddisfazione delle necessità altrui. Essere una donna eterosessuale consiste in costruirsi attorno alla soddisfazione delle necessità del mondo maschile. Essere una donna eterosessuale attraente consiste in costruirsi intorno alla soddisfazione dei “bisogni” attorno ai quali si è costruita la mascolinità.
Il sesso anale è una pratica come qualsiasi altra, che può essere molto piacevole e che ha bisogno di un’unica condizione: essere desiderata. Se è desiderata da chi vi partecipa, può darsi che non serva nemmeno il lubrificante.
Ciò nonostante, il sesso anale ha effettivamente una valenza simbolica nel contesto delle relazioni eteronormative. Per qualche motivo, che temo molto più complesso, profondo, atavico, politico e simbolico che la pornografia, c’è uno schema tra gli uomini etero cisessuali che implica cercare di ottenere la penetrazione anale spingendosi molto oltre il mercanteggio.
La spiegazione può avere a che fare con il piacere fisico dell’introdurre il pene in un orifizio più stretto e meno elastico della vagina (non ne ho idea, non ho un pene). Ciò significherebbe che proporlo, o chiederlo, avrebbe a che fare con una ricerca del proprio piacere, cosa affatto criticabile. Però insistere sulla questione, negoziare o addirittura provare a farlo comunque e senza avvisare, non ha niente a che fare col piacere. Perché considerare che il proprio piacere stia al di sopra del piacere delle persone con cui lo condividiamo è potere, è sfruttamento, è violenza.
Sembra molto più probabile che abbia a che fare con un simbolismo patriarcale, in cui il “maschio” sottomette la “femmina” attraverso una pratica che a lei non offre nessuno dei “benefici” della sessualità, dato che non è riproduttiva né conduce, come via principale, all’orgasmo. Sembra una bestialità reazionaria, ma la verità è che facciamo sesso -basicamente- per queste ragioni: per godercelo o per il fine riproduttivo. O per entrambe le cose.
O per lavoro.
È terribile, se ci pensi, accettare che ci sia una quarta ragione per cui facciamo volontariamente sesso, e cioè per soddisfare l’altra persona, anche se la persona in questione, il momento o la pratica non ci aggradano. Mi fa paura leggermi scrivere che noi donne, spesso, abbiamo accettato questo quarto motivo.
Il simbolismo non è unicamente mascolino. Per le donne il sesso anale è un territorio complicato. Per cominciare, se non c’è un livello alto di desiderio (e a volte, anche se c’è) può far male. E tanto. Se non c’è abbastanza lubrificazione, può dolere e sanguinare. È una pratica che esige attenzione e tatto, che non si ottengono solo “col permesso”.
Però c’è anche una questione diversa, che potremmo definire “morale”. Per qualche motivo, che temo sia molto più complesso, profondo, atavico, politico e simbolico della pornografia, molte donne considerano il sesso anale come una pratica “che non si fa con chiunque”, come qualcosa “che non si fa” in relazioni saltuarie o come qualcosa che, direttamente, “non si fa”. Non so se la ragione sia la sua carica simbolica, il dolore, l’indecenza o il significato attribuito dalla morale patriarcale. La questione è che siamo in poche a considerarla una pratica senza ulteriori significati.
Per questo è oggetto di negoziazione. Perché per alcuni ha un significato e per altre, un altro. Perché in questa società patriarcale, eterocisnormativa, fallocentrica e violenta con le donne, noi siamo il passo delle Termopili (che vuol dire, per ironia della sorte, “sorgenti calde”) e la nostra libertà di desiderare è l’esercito di Sparta.
“Fermati”, “aspetta”, “così no”: sono frasi che possono essere pronunciate in un contesto sessuale di libertà e desiderio reciproco, ma noi le abbiamo usate troppe volte in un contesto sessuale che non accetta quella grande massima (anche se dovrebbe trattarsi di una “minima”) secondo cui “il no è la fine della conversazione, non l’inizio di una negoziazione”.
Penetrare analmente senza averne il permesso, o provare a farlo, equivale a fottersene del consenso e della libertà della persona penetrata. Punto. Ed è una cosa che è successa a troppe di noi, troppe volte, con troppi uomini, nell’ambito delle relazioni eteronormative.
Spesso con uomini che non consideravano che il loro ano fosse un elemento da tenere in considerazione nelle reciproche pratiche sessuali, tanto meno come orifizio penetrabile.
“Beh a me non è mai successo”.
Beh, ragazza, che fortunata sei. O che sfortunate siamo io e le mie amiche.
Perché non può essere un caso che, dalla prima volta che abbiamo osato tirare fuori il tema in quelle conversazioni tra piatti vuoti e bicchieri mezzi pieni, o tra chiacchierate disorientate ed intermittentemente infinite durante le vacanze, ci incontriamo mutuamente con la ben scarsa sorpresa che sia successo a quasi tutte noi.
Negoziare nel sesso è sano, desiderabile, incluso raccomandato. Però contrattare le pratiche non è negoziare. Lasciarsi convincere non è desiderare. Arrendersi a una pratica non è scopare. È lasciarsi scopare.
C’è una prova molto utile per comprovare se quello che possono sembrare aneddoti individuali non generalizzabili, o derive di una feminazista risentita, siano invece elementi che contribuiscono all’invisibilità di Matrix e alla sua inerente schiavitù: consiste in esaminare come la cultura popolare rappresenta o si approccia al tema. L’impunità con cui Bertolucci pianificò con la sua squadra, all’insaputa della protagonista, la famosa scena del burro ne L’ultimo tango a Parigi; la complicità con cui Marlon Brando mise le sue dita unte di burro nel culo di una Maria Schneider diciannovenne, senza il consenso di lei; i milioni di sguardi che trovarono eccitante quello che è a tutti gli effetti una aggressione sessuale, riprodotta per decenni sul grande schermo; l’ignoranza a cui si sottomise l’attrice quando confessò di essersi sentita “un po’ violata” in varie occasioni, l’ultima nel 2007: tutti questi elementi fanno chiarezza a proposito di una cosa, e cioè rilevano di chi sia il divertimento attorno al quale si costruisce l’ano femminile. Le battute dei mariti che “ce l’hanno fatta”, quelli che lo raccontano come un premio ricevuto (o meglio, che hanno “dato”, hohoho), gli sforzi di Barney Stinson per “convincere” le sue compagne intercambiabili…
OK, a te non è successo. A te no. Il “tuo” no. Ti crediamo.
Però non ti sembra importante aprire un dibattito che trascenda il consenso e metta al centro il nostro desiderio e la nostra libertà? È necessario eliminare i connotati patriarcali al sesso anale eterosessuale. È necessario eliminare i significati di potere e dominazione al sesso eterosessuale. È necessario costruire una narrazione collettiva in cui le relazioni sessuali siano uno scambio di piacere, di comunicazione e di attenzioni tra pari.
Perché non possiamo aspettare che ognuna di noi si impadronisca degli strumenti necessari per avere la capacità di leggere le proprie esperienze sessuali, di usare la chiave di lettura per cui è imprescindibile che ci sia libertà affinché non ci sia violenza. Non possiamo aspettare che ognuna di noi accumuli esperienze, letture e conversazioni che la rendano in grado di pensare che mettere il proprio desiderio al centro della sessualità è una costruzione che richiede molto lavoro, in contrasto con gli imperativi patriarcali che sostengono la femminilità. Non possiamo attendere oltre che adolescenti, mogli, promiscue, bisessuali, attrici porno, lavoratrici sessuali, amanti o fidanzate debbano cominciare da zero le proprie negoziazioni, come se non l’avessero mai messo in culo a nessuna di noi −e contro la nostra volontà− prima d’ora.
Perché il femminismo è questo. È costruire collettivamente spazi di libertà per tutte, spezzando le dinamiche che ci hanno fatte schiave e ci hanno convinte di esserlo, schiave di molte schiavitù. Perché nessuna manifestazione di potere e di violenza è abbastanza trascurabile come per non combatterla insieme.
Non aspetteremo che succeda anche a te. Non aspetteremo che tu abbia la capacità di riconoscere se sia successo anche a te. Costruiremo una narrazione della sessualità nel quale nessuno potrà interpretare che il proprio desiderio stia al di sopra di quello altrui.